Quando il vero carcere è “Fuori”. Mario Martone rende omaggio a Goliarda Sapienza

La storia di una donna che trova rifugio, salvezza nelle persone con cui ha condiviso l’esperienza del carcere. Il carcere come luogo di rapporti reali. Come luogo in cui lei poteva essere conosciuta per quello che era, mentre fuori – nel mondo libero – era un’emarginata. Potremmo anche raccontarlo così “Fuori”, il film di Mario Martone in questi giorni nelle sale italiane, dopo essere stato in concorso al festival di Cannes. Un film in cui il carcere è un luogo di salvezza, e dove gli ambienti della ricca borghesia sono il vero carcere per Goliarda, interpretata da Valeria Golino. Martone, il regista di “L’amore molesto”, “Il giovane favoloso” e “Capri Revolution”, nel film esplora un episodio della vita della scrittrice Goliarda Sapienza. I giorni nei quali la scrittrice finì in carcere, per aver rubato dei gioielli ad un’amica. E quelli in cui, nella Roma assolata e desolata del 1980, frequentò fuori dal carcere le sue ex compagne di detenzione, trovando in loro quella verità, vitalità, umanità che non aveva trovato nei salotti letterari romani, che la tolleravano appena. Ne parliamo con Mario Martone, regista e – insieme a Ippolita di Majo – sceneggiatore del film.

Il film si intitola “Fuori”. Fuori dal carcere, naturalmente. Ma anche fuori dai salotti degli intellettuali romani degli anni ’70-’80. Un fuori come disagio esistenziale.
“Esattamente. Goliarda Sapienza era a disagio, a disagio nella vita, a disagio perché il suo romanzo, ‘L’arte della gioia, era stato rifiutato dagli editori. Era una donna emarginata, si sentiva in prigione anche stando fuori”. Il carcere è al centro del racconto. Non solo perché alcune scene sono girate proprio nel carcere di Rebibbia, con detenute che si sono rese disponibili come comparse, ma anche perché il carcere, l’esperienza del carcere, è sempre presente nel “fuori” delle tre protagoniste. Che cosa fa capire, secondo lei, Goliarda sul carcere?
“Ci fa capire che il carcere non è un pezzo della società da dimenticare, da tenere ‘a parte’, abbandonato. È un pezzo della società. Dentro ci sono persone come noi. In un’intervista con Enzo Biagi, che abbiamo messo in fondo al film, la vera Goliarda dice ‘io non avrei mai pensato che sarei finita in carcere’, mentre invece chiunque ci può finire”.
Paradossalmente, è con le amiche ex detenute che Goliarda ritrova il senso di libertà.
“Sì: in fondo, tutto il film racconta il loro andare felicemente alla deriva. Se mi chiedessero che cosa racconta ‘Fuori’, direi che non lo so: l’estate di queste due amiche, che a un certo punto diventano tre. Tutto molto libero, proprio nello stile, nel modo di raccontare”.
Nell’intervista della quale vediamo un frammento alla fine del film, Enzo Biagi sembra particolarmente poco incline a comprendere Goliarda Sapienza: non la ascolta, sembra avere già dato un giudizio su di lei.
“Quel frammento mostra che gli anni non sono passati invano. Oggi abbiamo una sensibilità che ci fa vedere subito quella scena con un certo disagio. Si capisce come, all’inizio degli anni ’80, le cose che diceva Goliarda Sapienza non venissero ascoltate. Per fare un confronto, anche Pasolini, quando andava in televisione, qualche anno prima, faceva scandalo: ma lo si ascoltava, perché era un uomo. Mentre le parole di Goliarda Sapienza sembravano capricci di una signora, che nessuno si prendeva la pena di ascoltare”.
Goliarda era in prigione nella sua vita?
“Lo era, perché nessuno pubblicava il suo libro ‘L’arte della gioia’, era messa ai margini. Aveva sposato un uomo più giovane, e se averlo come amante poteva sembrare una cosa chic, un punto a favore, averlo sposato era considerato un gesto in qualche modo sconveniente. Fu lui che, dopo la morte di Goliarda, fece di tutto affinché il romanzo venisse pubblicato. ‘L’arte della gioia’ fu pubblicato postumo nel 1998, e conobbe il grande successo solo quando fu ripubblicato da Einaudi nel 2008”. In che cosa si riconosce nella storia di Goliarda Sapienza?
“Ogni mio film è, in qualche modo, anche un autoritratto. Mi dava felicità anche immergermi in una dimensione femminile, incontrare l’altro da sé, in questo caso tre personaggi femminili. Sono sempre stato attratto dal raccontare personaggi femminili: è accaduto in ‘L’amore molesto’, con il personaggio di Anna Bonaiuto, e in ‘Capri Revolution’, con il personaggio interpretato da Marianna Fontana”.
Che cosa desidera "passi" del messaggio di Goliarda?
"Se siamo riusciti a fare capire almeno un po' che cosa pensava Goliarda del suo rapporto col carcere, abbiamo fatto una cosa buona".
Luce